30ª Settimana del Tempo Ordinario C – Domenica

Published on 25 October 2025 at 13:00

Fratelli e sorelle, in tutte le letture di oggi vediamo quanto profondamente il Signore Dio—nostro Padre, nostro Salvatore, nostro Santificatore—sia vicino a coloro che hanno il cuore spezzato, agli umili e a quanti confidano nella sua provvidenza.

Nel libro del Siracide, ascoltiamo che il Signore è un Dio di giustizia che non fa preferenze. Egli ascolta il grido dell’orfano, sente il lamento dell’oppresso, non resta sordo al pianto della vedova. La preghiera del povero, ci dice la Scrittura, penetra le nubi e giunge fino al cielo.

Questo ci insegna una cosa fondamentale: per avvicinarci a Dio dobbiamo farlo con un cuore umile. L’umiltà non è facile, ma è la virtù che ci permette di vivere la nostra fede in modo autentico e gradito a Dio. È l’umiltà che rende la nostra preghiera più vera, più profonda, più capace di toccare il cuore del Padre.

Noi cattolici ci rivolgiamo ai santi proprio per questo: non perché Dio non ci ascolti, ma perché nel chiedere la loro intercessione ci mettiamo in un atteggiamento di umiltà. Riconosciamo che abbiamo bisogno di aiuto, che non siamo degni, e chiediamo a chi già contempla il volto di Dio di presentare per noi la nostra supplica.

E quando preghiamo per avere più umiltà, Dio non ci manda semplicemente il dono dell’umiltà… ma ci offre occasioni per viverla! Ci mette davanti situazioni che ci invitano a essere piccoli, pazienti, pronti a perdonare.

Pensiamo a San Paolo, nella seconda lettura di oggi, nella sua seconda lettera a Timoteo. Dice: «Alla mia prima difesa nessuno mi è stato vicino; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto». In queste poche parole vediamo il cuore umile dell’apostolo: invece di lamentarsi, prega per coloro che lo hanno lasciato solo. Questa è vera umiltà.

Nel Vangelo troviamo due uomini che salgono al tempio a pregare: un fariseo e un pubblicano. Il fariseo si mette davanti e prega… ma, dice Gesù, “pregava tra sé”. Non pregava Dio, pregava se stesso! Diceva: «Ti ringrazio, Signore, perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri… o come questo pubblicano». E comincia a elencare tutte le sue buone opere.

Ma il pubblicano, invece, resta indietro, non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Si batte il petto e dice solo: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore». E Gesù ci assicura: è questo uomo, non l’altro, che torna a casa giustificato.

Vedete, fratelli e sorelle, la differenza non è nelle opere, ma nell’atteggiamento del cuore. Il fariseo parla solo di sé; il pubblicano parla solo con Dio. Il primo si esalta; il secondo si affida.

E noi? Qual è il tono della nostra preghiera? È un elenco di meriti o un grido del cuore? Il Signore non resiste a un cuore umile, a un’anima che riconosce la propria povertà.

Impariamo allora dal pubblicano e da San Paolo a rivolgere a Dio il nostro sguardo nei momenti di fragilità, a fidarci di Lui anche quando ci sentiamo soli. Perché il nostro Dio è un Padre tenero e misericordioso, che ascolta sempre la voce dei suoi figli.

Che il Signore vi benedica e vi renda miti e umili di cuore.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


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