Oggi la Chiesa celebra Santo Stefano d'Ungheria, primo re d'Ungheria e uomo la cui leadership era profondamente radicata nella fede. Nato intorno all'anno 975, Stefano fu battezzato da bambino quando suo padre, un capo tribù ungherese, abbracciò il cristianesimo. Sposò Gisela, sorella dell'imperatore del Sacro Romano Impero, e nell'anno 1000 fu incoronato re, ricevendo la corona da papa Silvestro II come segno della sua autorità sia politica che spirituale.
Ciò che rende Stefano straordinario non è solo il fatto che abbia unito e organizzato il suo regno, ma che lo abbia fatto con l'esplicito scopo di renderlo una nazione cristiana. Istituì diocesi e chiese in tutta l'Ungheria, invitò missionari a predicare il Vangelo e scrisse leggi che riflettevano l'insegnamento morale cristiano. Era anche un uomo di santità personale e grande carità, noto per vestirsi in modo da poter dare l'elemosina ai poveri senza attirare l'attenzione su di sé. Una tradizione straordinaria racconta che sul letto di morte, nel 1038, offrì tutto il suo regno alla protezione della Beata Vergine Maria, affidando il suo popolo alle sue cure. Questa eredità è ancora visibile oggi: l'Ungheria rimane uno dei paesi più fortemente cristiani d'Europa, con un'identità nazionale che non si è facilmente piegata alle ideologie liberali secolari che minano l'insegnamento cattolico.
La prima lettura dal Deuteronomio ci offre la grande chiamata di Mosè a Israele: «Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze». Stefano prese sul serio questo comandamento, non solo nella sua vita personale, ma anche nel plasmare la vita di un'intera nazione. Come Mosè, sapeva che l'amore per Dio doveva essere trasmesso: insegnato ai bambini, vissuto nella vita quotidiana e reso visibile nella cultura.
Nel Vangelo, la parabola dei talenti di Gesù ci insegna che Dio affida a ciascuno di noi dei doni, non per accumularli, ma per usarli in modo fruttuoso al suo servizio. Stefano ricevette i «talenti» della leadership, dell'autorità politica e di una fede fervente. Invece di seppellirli nel terreno per paura o per interesse personale, li ha moltiplicati costruendo un regno radicato nel Vangelo. Il suo governo ci mostra che quando usiamo i nostri doni con coraggio per Dio, diventiamo parte di qualcosa che sopravvive alla nostra eredità.
Per noi oggi la lezione è chiara: non saremo re o regine, ma a ciascuno di noi sono stati dati dei talenti: il nostro tempo, le nostre capacità, le nostre relazioni, le nostre opportunità. Dio si aspetta che li usiamo per la Sua gloria, per costruire il Suo Regno nelle nostre famiglie, nei nostri luoghi di lavoro e nelle nostre comunità. Come Santo Stefano, possiamo “scrivere la legge di Dio sugli stipiti delle nostre case” vivendo in modo tale che la fede sia visibile e contagiosa.
La vita di Santo Stefano ci ricorda che la santità e la leadership non sono opposte, ma vanno di pari passo. Qualunque sia il nostro ruolo nella vita, la via verso la vera grandezza si trova nell'amare Dio sopra ogni cosa, nel servire gli altri e nell'investire con coraggio i doni che Egli ci ha affidato.
Possa Santo Stefano d'Ungheria intercedere per noi, affinché un giorno possiamo sentire le stesse parole dal Signore: «Ben fatto, servo buono e fedele... Vieni, condividi la gioia del tuo Maestro».
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