15ª settimana del tempo ordinario C – Venerdì

Published on 17 July 2025 at 13:00

Fratelli e sorelle, ogni volta che sentiamo dire che «il Signore rese ostinato il cuore del Faraone», questa frase può turbarci.  Sembra quasi che Dio interferisse con la libertà del Faraone, tirando le fila in modo che il re non potesse pentirsi anche se lo desiderava.  Tuttavia, nell'idioma ebraico «indurire» («hazaq») spesso significa rafforzare ciò che già esiste. Il faraone aveva già preso una decisione definitiva; le piaghe non fecero altro che rivelare e confermare la scelta interiore che aveva fatto. Lungi dal cancellare la libertà, il Signore mette in luce il costo di una libertà che si chiude in se stessa, affinché il suo popolo – e persino l'Egitto – possano riconoscere chi è il vero liberatore.  L'indurimento del cuore è autoinflitto; l'azione di Dio è quella di portarlo alla luce affinché tutti possano vedere sia il suo pericolo che la possibilità della misericordia.

Quella misericordia appare subito dopo, quando il Signore ordina a ogni famiglia di preparare «un agnello [...] delle pecore o delle capre».  La parola ebraica seh significa un piccolo animale del gregge, sia agnello che capretto. Perché dare due opzioni? La pecora era l'animale sacrificale più pregiato, ma il capretto era più economico. Nessuna famiglia, ricca o povera, doveva essere esclusa dalla Pasqua. Anche i più poveri potevano spalmare il sangue sull'architrave e condividere la carne arrostita.  L'universalità, quindi, è un tema insito in questo rituale di salvezza che Dio prescrive: una vittima offerta, senza avanzi, consumata insieme al crepuscolo affinché tutti possano partire come un unico popolo.

Giovanni Battista indicherà Gesù e griderà: «Ecco l'Agnello di Dio», non l'Agnello di poche famiglie selezionate, ma di tutto il mondo. In Lui la distinzione tra pecore e capre non viene cancellata, ma il suo significato cambia.  Nel Giudizio Universale Gesù parla di sé stesso come del re-pastore che separa «le pecore dalle capre» a seconda che abbiano riconosciuto Lui negli affamati e negli stranieri. Proprio come il rito stesso, che è una prefigurazione della misericordia universale e del giudizio finale di Dio, anche il nostro verdetto dipenderà da come abbiamo considerato i meno fortunati, i cuori spezzati, gli emarginati e chiunque fosse in una posizione di svantaggio.

Il Vangelo di oggi affronta lo stesso tema. I discepoli raccolgono il grano durante il sabato perché hanno fame. I farisei vedono una regola infranta; Gesù vede persone che hanno bisogno di essere sfamate. Egli ricorda loro come Davide una volta mangiò il pane sacro, come i sacerdoti lavorano durante il sabato e rimangono innocenti, e poi dichiara: «Qui c'è qualcosa di più grande del tempio... il Figlio dell'uomo è signore del sabato».  In altre parole, il vero santuario non è un edificio di pietra, ma il corpo stesso di Colui che offre se stesso. La misericordia non è una scappatoia nella legge; la misericordia è il significato più profondo della legge.

Ad ogni Messa si rinnova il comando pasquale: «Prendete e mangiate... prendete e bevete».  Noi stiamo in piedi come quegli antichi Israeliti – con i sandali ai piedi, i bastoni in mano, pellegrini in cammino – perché l'Eucaristia è il cibo per un viaggio fuori dalla schiavitù. Ci ricorda l'ammonimento di Gesù che quando commettiamo peccato ne diventiamo schiavi, e l'obbligo di confessarci e permettere a Dio di purificarci è una parte importante del modo in cui Egli ci libera continuamente anche mentre ci prepariamo a ricevere l'Agnello. Mangiamo la carne dell'Agnello che è stato offerto una volta e non potrà mai più essere offerto; quindi non rimane nulla, nulla va sprecato.  Alziamo il calice della salvezza, facendo eco al salmista, e questo diventa la nuova alleanza nel Suo sangue, tracciata non più sugli stipiti delle porte ma sui cuori. Il Signore continua a passare attraverso la terra della schiavitù, abbattendo tutto ciò che riduce gli esseri umani a oggetti, e continua a “passare oltre” coloro che sono segnati dal sangue di Cristo, non per risparmiarci la sofferenza, ma per condurci attraverso di essa alla libertà.

Permettiamo quindi al Signore di rafforzare, non la nostra ostinazione, ma la nostra disponibilità a cambiare.  Veniamo alla tavola consapevoli che Egli ha scelto di essere l'Agnello affinché nessuno fosse escluso dalla festa.  Ascoltiamo di nuovo la Sua voce: «Le mie pecore ascoltano la mia voce; io le conosco ed esse mi seguono» e rispondiamo accogliendo la Sua misericordia come nostro lavoro quotidiano, fino a quando il viaggio sarà completato e il Giudice che separa il gregge dal gregge ci accoglierà non come estranei, ma come figli che già conoscevano il Suo cuore tenero e sacro.


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