13ª settimana del tempo ordinario C – Lunedì

Published on 29 June 2025 at 13:00

Cari fratelli e sorelle in Cristo, nella Santa Messa di oggi siamo invitati a contemplare due figure imponenti della storia della salvezza: Abramo, nostro padre nella fede, e Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio. Entrambi sono presenti nelle letture di oggi: uno implora misericordia, l'altro esige un discepolato assoluto. Abramo è l'amico di Dio; Gesù è Dio stesso. Il loro contrasto rivela non solo la grandezza della fede di Abramo, ma ancora di più l'infinita dignità e l'autorità divina di Cristo, davanti al quale anche Abramo deve inchinarsi.

Nella prima lettura della Genesi, Abramo si mostra nella sua forma più nobile. Intercede per Sodoma, appellandosi alla giustizia e alla misericordia di Dio con umile audacia. Osando contrattare con il Signore, riduce il numero dei giusti necessari per salvare la città da cinquanta a dieci. Abramo è profondamente consapevole della sua umiltà - “Io sono polvere e cenere” - eppure si avvicina a Dio come un figlio che supplica suo padre. Il suo cuore arde di compassione e desidera la salvezza per i malvagi, se solo si potessero trovare alcuni giusti tra loro.

Ma anche Abramo - questo grande patriarca, scelto e benedetto da Dio, quest'uomo attraverso il quale “tutte le nazioni della terra troveranno benedizione” - anche lui è solo un uomo. Una creatura. Polvere e cenere. Egli implora misericordia, ma non può offrirla lui stesso. Non può salvare Sodoma. Può solo pregare che Dio la risparmi.

Ora confrontate questo con il modo in cui Gesù è descritto nel Vangelo. Egli non intercede come un servo, ma comanda come Signore. Uno scriba viene da lui, desideroso di seguirlo, e Gesù non risponde con entusiasmo, ma con un avvertimento: «Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». E quando un altro gli chiede di seppellire prima suo padre, Gesù risponde con parole che ci colpiscono con divina severità: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu, seguimi».

Gesù non implora Dio di avere pietà: egli è la pietà incarnata. Non chiede giustizia: egli è il Giudice stesso. Non negozia la salvezza: egli la porta, nella sua stessa persona. Gesù non si limita a parlare con Dio come fece Abramo: egli è il Verbo di Dio fatto carne, colui attraverso il quale tutte le cose sono state create, compreso Abramo stesso.

Laddove Abramo si avvicinò con tremore, Gesù parla con autorità sovrana. Laddove Abramo si definisce «polvere e cenere», Gesù si definisce «il Figlio dell'uomo», un titolo tratto dalla visione di Daniele della maestà divina. Laddove Abramo spera che dieci uomini giusti possano salvare una città, Gesù stesso è l'unico uomo giusto la cui morte salverà il mondo.

Eppure questo Gesù divino ci invita a seguirlo, non con intenzioni tiepide o impegni condizionati, ma con totale abbandono. «Seguitemi», dice, anche se questo significa lasciare tutto alle spalle: casa, famiglia, comodità, certezze. Il costo del discepolato è alto perché Colui che seguiamo non è un semplice profeta, non è un saggio maestro, ma il Figlio eterno del Dio vivente.

Ed è questo che dobbiamo imparare dal contrasto: se Abramo, l'amico di Dio, si definiva «polvere e cenere», quanto più dovremmo avvicinarci a Cristo con riverenza, con timore reverenziale, con obbedienza? Se l'intercessione di Abramo ha commosso il cuore di Dio, quanto più potente è il sacrificio di Gesù, che salva non solo dieci, ma la moltitudine che lo segue attraverso la via stretta della Croce?

Preghiamo come Abramo, per le nostre città, le nostre nazioni, il nostro mondo, ma seguiamo anche Cristo, lasciandoci alle spalle tutto ciò che ci lega alle cose morte di questo mondo.

Possa la Madre che lo ha amato e che ama noi continuare a pregare per noi, affinché anche noi un giorno possiamo contemplare Colui che è amore e misericordia stessa. Siate benedetti. +

Amen.


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