Cari fratelli e sorelle in Cristo, le letture di oggi del profeta Isaia, di San Paolo e del Vangelo di Luca si fondono in una splendida armonia, attirando tutta la nostra attenzione sulla persona di nostro Signore Gesù Cristo. Esse rivelano chi Egli è, cosa ci dona e cosa ci chiama a diventare. Il filo conduttore che le accomuna è questo: Gesù è la nostra pace, la nostra gioia, e ci ha affidato una missione. Tutto è visto alla luce di Lui.

Cominciamo con la gioiosa visione di Isaia. «Rallegratevi con Gerusalemme... voi tutti che l'amate!». Non si tratta di una gioia ordinaria. Isaia si rivolge a un popolo che ha sofferto, che ha pianto, che ha vissuto l'esilio e la desolazione, ma che ha imparato ad amare i propri connazionali e la propria terra rigogliosa e prospera.
Durante il mio viaggio verso Roma, una donna adorabile di Gerusalemme si è seduta accanto a me sull'aereo. Abbiamo iniziato a parlare della guerra tra Israele e l'Iran. Le ho chiesto se stesse andando in Canada in cerca di sicurezza, e ho scoperto che suo marito e sua figlia la stavano già aspettando. Mi ha detto che i suoi fratelli e sorelle avevano scelto di rimanere a Tel Aviv, anche se ogni notte cadevano bombe e non c'era un vero rifugio dal pericolo. Nessun seminterrato. Mi ha spiegato che le case lì sono molto semplici nella loro architettura e costruzione mediorientale. Le ho chiesto perché avessero scelto di restare e lei mi ha risposto: «Perché amiamo Gerusalemme. È la nostra vita. La nostra cultura. È unica al mondo». Anche noi dovremmo amare Gerusalemme in questo modo, ma con una prospettiva biblica. Dovremmo amare la Nuova Gerusalemme, la Chiesa, l'Israele di Dio con un amore immenso. In essa e attraverso di essa Dio adempie la sua promessa con tutta l'umanità.
Questa promessa si adempie in Gesù. Egli è il conforto di Gerusalemme, la pace di Dio fatta carne, la tenerezza divina estesa a tutta la terra. In Lui, il vero e duraturo conforto di Dio ci raggiunge, non da lontano, ma personalmente, intimamente, come una madre conforta il proprio figlio. Noi non seguiamo una divinità fredda o distante. Seguiamo Colui che si definisce lo Sposo, il Buon Pastore, Colui che manda i suoi seguaci non come guerrieri, ma come agnelli tra i lupi, portando la pace. Cosa dovremmo quindi mettere al centro della nostra attenzione spirituale oggi?
In primo luogo, fissiamo lo sguardo su Cristo, fonte di ogni gioia e conforto. Come il popolo di Gerusalemme, possiamo portare ferite, perdite, dolori. Ma il Signore non ci lascia in esilio. Egli si avvicina. Alla Sua presenza, i cuori gioiscono e i corpi fioriscono come l'erba. Dobbiamo quindi aprirci a quella presenza, attraverso la preghiera, i sacramenti, la Sua Parola.
In secondo luogo, dobbiamo essere radicati nella Croce. Viviamo in un mondo che vuole la resurrezione senza la crocifissione, la gloria senza il sacrificio. Ma Paolo ci ricorda nella seconda lettura di oggi che solo la Croce ci rende una nuova creazione. La nostra conversione deve essere profonda, non superficiale. La nostra identità cristiana deve scaturire da questa morte a noi stessi e risurrezione in Cristo.
Infine, dobbiamo vivere la nostra missione con gioia. Ogni cristiano è inviato. Non siamo destinati a rimanere passivi. Come i settantadue, andiamo davanti a Cristo - nelle nostre case, nei nostri luoghi di lavoro, nei nostri quartieri - portando pace, rendendo testimonianza, proclamando con la nostra vita che “il Regno di Dio è vicino”. E dobbiamo ricordare: la nostra gioia non sta in quanto realizziamo, ma nella consapevolezza che siamo Suoi.
Quindi oggi, come dice il salmista, «Tutta la terra gridi a Dio con gioia!». Non con paura, non con vergogna, non con ansia per il successo, ma con gioia. Perché in Gesù, Dio si è avvicinato. Nella Croce, ci ha resi nuovi. E nella potenza del Suo nome, siamo inviati: gioiosi, pacifici e pieni di speranza.
Amen.
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