Le letture di oggi ci offrono una profonda rivelazione sulla presenza di Dio e sul suo desiderio di essere intimamente coinvolto nella vita del suo popolo, sia nell'Antica che nella Nuova Alleanza. Esse richiamano la nostra attenzione sul mistero della vicinanza di Dio nei momenti di disperazione e isolamento, e sul modo in cui Egli ci invita a confidare nelle sue promesse anche quando tutto sembra incerto.
Nella prima lettura della Genesi, incontriamo Giacobbe in un momento cruciale della sua vita. Sta fuggendo da suo fratello Esaù, che intende ucciderlo dopo che Giacobbe lo ha ingannato e gli ha sottratto la benedizione destinata al primogenito. Giacobbe non sta solo compiendo un viaggio fisico verso Haran, ma anche uno spirituale. In questo momento è un uomo in esilio, lontano dalla sua famiglia, spaventato e incerto sul suo futuro. Si ferma per la notte in un luogo desolato, solo sotto le stelle, usando una pietra come cuscino. C'è qualcosa di molto umano e comprensibile in questa scena: Giacobbe, l'intrigante e il vagabondo, ora giace vulnerabile ed esposto.
Ma è proprio in questo momento di vulnerabilità che Dio si rivela. Giacobbe fa un sogno in cui vede una scala (o “scala”) che collega il cielo e la terra, con angeli che salgono e scendono. E in cima a questa misteriosa scala, o in piedi accanto a lui, c'è il Signore stesso. Dio ribadisce l'alleanza che ha stretto con Abramo e Isacco: che i discendenti di Giacobbe sarebbero stati numerosi, che la terra sarebbe stata loro e che attraverso la sua famiglia tutte le nazioni della terra avrebbero trovato benedizione.

Poi aggiunge qualcosa di particolarmente personale: «Sappi che io sono con te; ti proteggerò ovunque tu andrai... Non ti lascerò mai».
Questo è un profondo punto di svolta. Giacobbe, che pensava di essere solo e forse anche estraniato da Dio a causa del suo passato ingannevole, scopre che il Signore non è lontano. Con stupore, esclama: «Davvero il Signore è in questo luogo, e io non lo sapevo!». Egli chiama quel luogo Betel, «casa di Dio». Quello che prima era solo un campo roccioso diventa un santuario, perché Giacobbe ha incontrato lì il Dio vivente.
Non è forse questa l'esperienza di molti di noi? Nei momenti di difficoltà, di perdita o di senso di colpa, quando ci sentiamo emarginati o insicuri, Dio spesso sceglie di venirci incontro. Non aspetta che siamo in condizioni perfette. Appare nel nostro esilio, nel nostro deserto, nella nostra fragilità. Ci ricorda: «Io sono con te. Ti proteggerò. Non ti abbandonerò».
La stessa verità è resa ancora più vivida nel Vangelo di Matteo di oggi. Gesù viene avvicinato da un funzionario della sinagoga disperato perché sua figlia è appena morta. Non si tratta di una semplice malattia: è entrata in scena la morte, quella che la Sacra Scrittura chiama il nemico finale di Gesù e nostro, la più grande paura dell'umanità. Ma l'uomo osa ancora credere: «Imponi le mani su di lei e vivrà». Lungo la strada, un'altra persona afflitta si avvicina a Gesù: una donna che soffre da dodici lunghi anni di emorragia. Non parla nemmeno direttamente a Gesù; si limita a toccare con fede il lembo del suo mantello, credendo che anche questo piccolo gesto le porterà la guarigione.
In entrambi questi momenti – pubblico e personale – Gesù rivela che Dio non è lontano. Dio cammina tra noi, ci tocca, ci guarisce. Entra nei luoghi della morte, della malattia e della disperazione e li trasforma. Zittisce lo scherno della folla ed esalta gli umili. Chiama la donna «figlia» e ridà la vita alla bambina del funzionario. Attraverso tutti questi gesti di amore misericordioso, ci mostra che ciò che Giacobbe vide in sogno – la scala tra il cielo e la terra – si è compiuto in Lui, il Dio che ci ama e che è disceso in mezzo a noi per stare con noi, per aiutarci, guidarci e salvarci per l'eternità con Lui.
Dio non è lontano. È più vicino di quanto pensiamo. Ed è sempre fedele alle Sue promesse.
Amen.
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