Oggi, mentre celebriamo la festa di San Tommaso Apostolo, siamo coinvolti in uno degli incontri più sinceri e umani riportati nei Vangeli: un momento di dubbio, un momento di rivelazione e un momento di fede profonda e personale. Non troviamo mai gli altri apostoli, né lo stesso Tommaso, che cercano di nascondere il fatto che anche i migliori di loro hanno dovuto affrontare i propri dubbi, come tutti noi.

Tommaso è spesso ricordato con l'etichetta di “scettico”, ma è proprio per questo che è uno degli apostoli più vicini a noi. Era assente nel momento in cui Cristo apparve. E quando i suoi compagni discepoli gli dissero: “Abbiamo visto il Signore”, egli rispose non con cinismo, ma con un grido che veniva dal cuore e che desiderava certezza. “Se non vedo... se non tocco...” Queste non sono le parole di qualcuno che si accontenta dell'incredulità, ma di qualcuno che desidera ardentemente una vera comunione con il Signore che ama. Per questo motivo, Tommaso desiderava incontrare il Signore risorto di persona, non solo sentirne parlare da altri.
Gesù non lo biasima per questo desiderio. Lo incontra dove si trova. Una settimana dopo, le porte chiuse non impediscono a Gesù di entrare nella stanza, né i cuori chiusi gli impediscono di parlare di pace. Egli invita Tommaso, con gentilezza, a fare esattamente ciò che aveva chiesto: toccare, vedere e credere. E in quel momento, Tommaso fa una delle confessioni di fede più profonde di tutto il Vangelo: «Mio Signore e mio Dio!».
San Tommaso ci mostra che la fede non è semplicemente l'assenza di domande, ma il coraggio di portare le nostre domande a Cristo. Ci mostra che le ferite di Gesù non sono solo simboli di sofferenza, ma luoghi dove il cuore dubbioso può trovare riposo. Ci ricorda anche che non dobbiamo indurirci nel dubbio, rifiutando di credere anche quando la verità è davanti a noi. Cristo risponde a chi cerca con sincerità, ma ci chiama anche ad andare oltre ciò che è semplicemente visibile. «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto».
Nella prima lettura, Paolo ricorda agli Efesini – e a noi – che non siamo «più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi». La casa di Dio non è costruita sulla fede cieca, ma sulle solide fondamenta degli apostoli, sì, anche dell'apostolo che dubitava. Ciò significa che nella Chiesa c'è spazio per chi cerca, per chi è ferito, per il cuore che si interroga. Ma ci deve anche essere crescita. Come Tommaso, dobbiamo passare da «se non vedo» a «mio Signore e mio Dio».
Non scoraggiamoci se a volte facciamo fatica a credere. Non temiamo se nel nostro cuore sorgono domande. Ma non siamo nemmeno ostinati o chiusi quando il Signore entra dolcemente attraverso le porte chiuse del nostro cuore e ci invita a fidarci. La fede non è una soluzione rapida, è una relazione. Cresce quando permettiamo a Gesù di mostrarsi a noi, specialmente nelle sue ferite: nelle ferite degli altri, nelle ferite della Chiesa, persino nelle nostre. Dio può parlarci attraverso il nostro dolore.
In questa festa di San Tommaso, portiamo a Cristo tutti i dubbi che ancora possono persistere in noi. Deponiamoli nelle sue piaghe. E poi facciamo eco alla confessione dell'apostolo, non solo con le labbra, ma con la nostra vita: Mio Signore e mio Dio, mio Tutto! Sii con noi, sempre.
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